IL CASTELLO - L'INDIVIDUAZIONE

L'identificazione del castello, presente con significativi dettagli, nell'affresco scoperto nel 1980, rappresenta la chiave di volta per una serie di considerazioni storiche e stilistiche, che diventano funzionali ad una razionale e corretta lettura dell'opera.
All'indomani della scoperta del 1980, le prime valutazioni di restauratori, studiosi e della stessa stampa, portarono ad individuare il castello emerso dalla scrostatura degli intonaci che lo ricoprivano, nel castello di Arcidosso, le cui caratteristiche morfologiche e paesaggistiche presentavano un'analogia straordinaria con una semplice cartolina panoramica odierna del paese di Arcidosso (vedi  la forma del castello,  gli edifici circostanti,  una chiesa posta di fronte al castello, un'alberatura laterale che ritroviamo negli stemmi del Comune di Arcidosso, i dirupi rocciosi). Addirittura qualche giornalista, anche in sede nazionale, parlò e titolò le cronache del rinvenimento dell'affresco come "La prima foto di Arcidosso".
Tutto collimava. Soprattutto dai documenti degli archivi senesi risultava come certa ed ineccepibile la commissione della celebrazione artistica della conquista di Arcidosso e Casteldelpiano, i due castelli dell'Amiata, che insieme a quello di Santa Fiora erano considerati le roccaforti del potere degli Aldobrandeschi, a Simone Martini, che del resto era stato incaricato anche delle altre imprese militari di Guidoriccio da Fogliano per conto di Siena, nei territori della Maremma e dell'Amiata.
Ma le datazioni non tornavano: da documenti d'archivio (confermati peraltro da altri reperti storici) risultava che Arcidosso fu conquistato da Siena, con le armate di Guidoriccio da Fogliano, nel 1331, mentre la cornice dell'affresco del tradizionale "Guidoriccio da Fogliano alla presa di Montemassi" sovrastante a quello scoperto del 1980, porta la data di esecuzione del 1328. Un affresco del 1328 non può certo essere dipinto sopra uno del 1331.
Che fare? Qualcuno ha cercato di salvare capra e cavoli, con una proposta che retrodatasse l'affresco scoperto, sostenendo (con un convincimento molto relativo) che il castello non è Arcidosso, ma Giuncarico (conquistato nel 1314), e che l'autore non sarebbe Simone Martini ma Duccio di Boninsegna, con il risultato di confermare la paternità del tradizionale Guidoriccio da Fogliano e di aumentare la dotazione artistica senese di un nuovo pezzo pregiato di Duccio di Boninsegna. Ma il paradosso è triplice:
1) Duccio non risulta fino ad oggi un artista cosiddetto "frescante", cioè non ha mai dipinto su strutture murarie.
2) Duccio non risulta essere mai stato un pittore civile, ma strettamente versato a rappresentazioni di  madonne, crocifissi e santi.
3) Dal confronto dell'immagine topografica e geografica il castello rappresentato è lontano mille miglia dall'aspetto panoramico di Giuncarico, che è una modesta altura, dalle pendenze molto contenute, posta nella campagna maremmana, ricoperta di olivi, di macchia mediterranea, e non di strapiombi rocciosi.


La realtà sta molto probabilmente nel fatto che la sovrapposizione di date sta ad evidenziare una errata lettura dell'affresco tradizionale e la conseguente incongrua interpretazione e attribuzione del ritratto equestre di Guidoriccio da Fogliano. Probabilmente non è lui, perchè se fosse stato veramente Guidoriccio, dopo l'estromissione e l'espulsione da Siena, sarebbe stato cancellato o sfregiato. Probabilmente il vero Guidoriccio sta nell'affresco sottostante, scoperto nel 1980, rappresentato dopo la conquista vittoriosa di Arcidosso e Casteldelpiano, in un'immagine che al momento della scoperta era chiaramente manomessa e alterata da uno strato di azzurrite che intendeva nascondere il volto di chi aveva tradito Siena, secondo la prassi cui allora si ricorreva per punire chi non meritava più di essere rappresentato come eroe: Guidoriccio era infatti un mercenario che, dopo Siena, prestò la sua opera militare a favore di comuni e signorie, avversari della Repubblica senese.
Da queste considerazioni è facile dedurre che il tradizionale cavaliere in gualdrappa con emblemi nobiliari (congeniali più ad un rito funebre che non a stemmi araldici del tempo), non è attribuibile a Simone Martini. Anzi, tutta la critica che  aveva sostenuto nel passato l'inattendibilità di tale attribuzione, ha trovato una conferma di fatto alle proprie tesi, e si è spinta oltre, agevolata anche dagli ingenui tentativi di mantenere in piedi l'autenticità di un'opera, cui a questo punto pochi storici e critici credono.


Se si aggiunge poi una critica artistica in termini spaziali secondo cui non sembrano coerenti le dimensioni dei soggetti del dipinto (cavaliere, paesaggio, vigneti),che mai un Martini avrebbe rappresentato in quei termini,con il risultato che l'opera oltre che pesantemente rimaneggiata e oggetto di incongrui interventi successivi, è aperta ad uns giustificata convinzione che si tratti di un pastiche di varie epoche, comunque successive a Simone Martini Nel 2010 un antiquario palermitano ha reperito frammiste ad antiche stampe, delle bozze preparatorie del Guidoriccio senese, firmate da Francesco e Domenico d'Andrea, risalenti al 1442, che confermerebbero tutti i dubbi di autenticità dell'affresco.


Nell'immagine dell'affresco rinvenuto nel 1980 si nota in particolare: un castello con torre dalle forme quadrate che poggia su uno sperone roccioso, una chiesa con campanile posta di fronte del castello, una alberatura ramificata piegata sul lato destro del castello, una scogliera su cui poggia il castello e il resto dell'insediamento (un paesaggio decisamente roccioso), due personaggi, di cui uno con spada (quindi non un semplice "civile") e uno che porge il guanto forse in segno di resa.


A destra una veduta di Arcidosso, castello dell'Amiata, sicuramente  conquistato da Guidoriccio da Fogliano insieme al castello di Casteldelpiano nel 1331. Se si considera che i due corpi laterali della chiesa (S.Nicolò) furono aggiunti nei primi anni del 1600, e che nella stessa epoca venne eliminato il campanile, non rimane che soffermarsi attoniti sul rapporto tra la forma del maniero e la facciata  della chiesa, che presentano una linearità e una geometria pressochè identiche all'affresco. Quanto alla presenza di dirupi rocciosi, qui nell'immagine non visibili, si tenga presente la descrizione che, prima che l'attuale vegetazione avvolgesse la base rocciosa, lo storico Repetti faceva di Arcidosso nel 1833 (Dizionario geografico fisico storico della Toscana, Firenze, vol. I): "E' fabbricato sopra una scogliera di macigni sovrapposti al calcaro compatto, sopra un risalto di poggio contornato da due torrenti che cingono da tre lati il suo poggio, sull'orlo occidentale da cui emergono le grandi rupi di peperino che costituiscono il Montamiata."
A sinistra una vista panoramica di Giuncarico. Nessun pendio roccioso, e nemmeno pendii rimarchevoli, anche perchè trattasi di un' altura di soli 189 metri di altitudine, rispetto al piano. Quel che rimane del castello è indicativo di una struttura probabilmente assimilabile ad una forma poligonale irregolare, diversa da quella pressochè quadrata che compare nell'affresco.

Nel 1833, Emanuele Repetti, grande studioso di storia naturale, dette alle stampe un dizionario geografico, geologico e storico della Toscana, che tuttora è ritenuto per la minuziosità dei dettagli, uno dei più completi documenti riferibili al territorio toscano, con approfondimenti di grande valore scientifico, tratti da una consultazione attenta e particolareggiata degli atti, scritti e relazioni fino ad allora reperibili sui vari aspetti territoriali della Toscana, nonchè dall'esame diretto dei luoghi, che lui stesso nel corso di almeno un decennio ebbe a visitare con lo spirito del ricercatore, prima di dare alle stampe la sua monumentale opera in cinque volumi. E' da sottolineare che il Repetti, nativo di Carrara,  seguì gli studi prima a Roma, poi a Firenze ove finì per risiedere, collaborando attivamente nel gabinetto-letterario del Vieusseux e nell'Accademia dei Georgofili, di cui fu valente segretario per vari anni.

Nel Dizionario del Repetti, volume I, pagg. 105-108, si legge quanto segue, a proposito di Arcidosso: "Combattuto più volte Arcidosso, nel 1331 fu conquistato dalla Repubblica Senese, che fece dipingere siffatta impresa nelle sale del pubblico palazzo dall'insigne pittore Simone Memmi." (Memmi era il cognome che era stato attribuito erroneamente a Simone Martini, da Giorgio Vasari, e che per lungo tempo fu utilizzato come patronimico del grande maestro del trecento). E' da dire che il Repetti, assunte le notizie da documenti archivistici, era solito riscontrarne l'autenticità mediante sopralluoghi, per cui è molto probabile che il Repetti avesse verificato come reale tale circostanza, nel caso in cui l'avesse soltanto attinta dalla cronache senesi.

E in ultimo, ma forse non per ordine di importanza, vale riportare quanto un illustre personaggio originario dell'Amiata, e più precisamente di Piancastagnaio, scriveva nel 1884 in un testo (David Lazzaretti. detto il Santo, i suoi seguaci e la sua leggenda, Bologna, Zanichelli, 1885), che diventò un best seller dell'epoca anche per la vasta eco che ebbe il movimento di David Lazzaretti, conclusosi in modo cruento nel 1878. Scriveva dunque Giacomo Barzellotti, a proposito del castello di Arcidosso: "Nel 1331 lo conquistarono i Senesi e cotesta impresa si vede ancora dipinta nella sala del palazzo pubblico da Simone Memmi" 

In realtà abbiamo visto che nella sala del Mappamondo nel palazzo pubblico di Siena, la presenza dell'affresco con la raffigurazione probabile di Arcidosso è emersa solo nel 1980. A cosa si riferivano dunque nel 1833 Emanuele Repetti e nel 1884 Giacomo Barzellotti? Probabilmente, tenendo conto della statura morale e culturale sia di Emanuele Repetti, di grandissima affidabilità nei suoi studi storico-geografici, sia di Giacomo Barzellotti, senatore del regno, filosofo. letterato, docente universitario di grandissimo prestigio dell'ateneo di Pavia, che mai si sarebbero sognati di affermare cose non vere, essi traevano questa conclusione ricavandola da un immaginario popolare, che trovava le sue radici in una tradizione orale, presente nel territorio senese, tramandata di padre in figlio, secondo cui il castello di Arcidosso è stato nei secoli, contestualmente simbolo e vanto dell'espansione territoriale senese e anche il simbolo dell'arte del grande Simone Martini, fino ad identificare tutto ciò che era visibile nella parete con la conquista-resa di Arcidosso. Il fatto che il vero affresco celebrativo fosse stato un giorno nascosto da un altro dipinto non veniva forse percepito dall'immaginazione e dalla credenza popolare, che poco si preoccupava di correggere e aggiornare ciò che era impresso nel proprio sapere, consolidatosi nel tempo non certo per effetto di trattati d'arte o di studi sulle tecniche pittoriche. Restauri, manomissioni, anche azzardati, non facevano notizia. A quell'epoca, e a maggior ragione anche prima, si andava infatti al Palazzo Pubblico solo per denunciare i fatti di anagrafe e di stato civile.

Ma Repetti e Barzellotti non furono i soli a descrivere in testi scientifici e letterari la presenza della rappresentazione della conquista di Arcidosso nella Sala del Mappamondo di Siena. Si rafforza in tal modo l'ipotesi di una credenza popolare che trova la sua collocazione temporale nel settecento-ottocento, fino ai primi anni del novecento, che contestualmente sta a dimostrare l'importanza della scoperta di un affresco, che forse rimette le tessere al posto giusto in un mosaico artistico affascinante.